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PARTE NEL 1920 L’OPERAZIONE CHE CONFERIRA’ ALL’ARABIA IL CONNOTATO DI SAUDITA In poco più di 10 anni Abd el Aziz ibn Saud riesce a creare la Monarchia Saudita-Wahabita 10/04/2019 - Massimo Iacopi (Assisi PG) NOTA PER I LETTORI... NEL DOWNLOAD IN ALTO A DESTRA DELLA FOTO SONO INCLUSE DUE ALTRE FOTO INTERESSANTI. Nel corso degli anni 1920, l’Arabia risulta frammentata in territori rivali. Abd al-Aziz ibn Saud, spinto dalla stessa ideologia politico-religiosa dei suoi antenati, riuscirà ad avere successo laddove essi avevano fallito e fonderà un regno saudita-wahabita, destinato a durare. Nel 1923 le Edizioni Al-Manar, fondate in Egitto dall’intellettuale riformista siriano in esilio, Mohammed Rashid Rida (1865-1935), pubblicano la Collezione degli Hadith del Nadjd, un insieme di nove testi wahabiti “per ordine ed a partire da Abd al-Aziz, iman del Nadjd e dei suoi dintorni”. A quell’epoca, l’Arabia non risulta ancora “saudita”, Abd al-Aziz ibn Saud (1876-1953) è appena il sultano della provincia del Nadjd (o Neghed), la cui capitale è Riyad e l’ideologia, che egli rappresenta, propugna un islam rigoroso, all’epoca percepita come settaria, che ancora non si è diffusa nella penisola e nel mondo arabo. Il sostegno di Rashid Rida contribuirà a questo sviluppo. A 850 Km. circa da Riyad, lo sceriffo Hussein regna, invece,, dalla Mecca, sull’ Hegiaz, regione prestigiosa, cosmopolita ed aperta ai quattro riti islamici e che ospita i luoghi santi. Nel marzo 1924, Hussein si autoproclama re degli Arabi, ma il 4 dicembre avviene un rovesciamento di situazione: Hussein viene cacciato dalla Mecca da Abd al-Aziz ibn Saud che vi entra trionfalmente e vi impone il rito hanbalita dei Wahabiti. La strumentalizzazione della religione Per consolidare il suo potere sulla penisola araba che vuole conquistare, Abd al-Aziz deve anche disfarsi dei Fratelli (Ikwan). Questa confraternita di intrepidi guerrieri al suo servizio, che egli ha creato nel 1912, raggruppa dei gruppi nomadi fissati in accampamenti. Essa era stata costituita dopo che gli ulema wahabiti avevano spiegato ai beduini che essi erano ormai rimasti i soli mussulmani autentici sulla terra. Questi Fratelli rimproverano ad Abd al-Aziz di essere sceso a patti con gli “infedeli”, i sedentari e gli Sciiti, di aver accettato le nuove tecnologie e di aver negoziato con gli Inglesi. Il re del Nadjd riesce a risolvere definitivamente il problema, nel corso del 1930, neutralizzandoli. In tal modo, l’Arabia diventa definitivamente saudita nel 1932, “per l’amore di riunire le diverse parti di questo regno”, così recita l’articolo primo del decreto reale del 18 settembre dello stesso anno, firmato per delega da suo figlio Feysal ibn ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saūd (1906-1975). La denominazione di “Saudita” costituisce una novità, in quanto i cronisti delle due precedenti dinastie Saud avevano intitolato le loro opere gli Annali del Nadjd. Incursioni contro i Luoghi Santi dell’islam Nel passato, in effetti, i Saud avevano fondato, per ben due volte, un regno in Arabia. La loro regione d’origine, il Nadjd, rappresenta il luogo di passaggio obbligato delle carovane che provengono da Bagdad e da Damasco verso Hegiaz che ne risulta separato da una catena montagnosa. Vicino ad Al-Ahsa, oasi ricca di petrolio (dove si gioca l’eterno conflitto fra Sciiti e Wahabiti), il Nadjd è costituito sostanzialmente dalla regione di Al-Qasim, la base wahabita (di dove risultano originari la maggioranza degli attentatori dell’11 settembre 2001, negli USA) e da Al-Aridh, che ospita la località di Dirya. E’ proprio in questo piccolo villaggio, a 30 Km. da Riyad, che ha inizio l’ascesa dei Saud. Verso il 1745, viene siglato un patto verbale fra Mohammed ibn Abd al-Wahab (1703-1792) e Mohammed ibn al-Saud (sovrano dal 1726 al 1765). Il primo, predicatore, convince il secondo, capo del villaggio, che l’islam era ritornato nel paganesimo, che i mussulmani erano colpevoli di apostasia, che adoravano le reliquie e veneravano marabutti intercessori, una specie di faraoni miscredenti che obbedivano a Taghut (false divinità). L’emiro si schiera dunque con lo sceicco nel nome di Dio, del suo Profeta, del Djhad e del regno del Bene contro quello del Male. In questo modo l’emiro viene a stabilire il primo contratto sunnita in cui il potere viene condiviso, paritariamente, fra la spada ed il Libro. Questo è, appunto, il Patto del Nadjd. La questione del patto rimane un fatto puramente aneddotico fino al saccheggio speditivo da parte delle truppe wahabite della città santa di Kerbala (nell’Irak) nel 1802. E’ in questo momento che l’Europa inizia a sentir parlare di questi “settari”, precisamente il 31 ottobre 1804, attraverso una corrispondenza da Smirne nel Monitore. Ancora più scandalose appariranno le conquiste dei luoghi santi della Mecca fra il 1803 ed il 1806, dove un gruppo di esaltati distruggeranno i mausolei, bruceranno i libri di logica e di incanti mistici, vieteranno la musica, ripuliranno le piazze dai fumatori di narghilè e si impadroniranno delle ricchezze, persino del tesoro sacro conservato nel forziere del Profeta. Essi imporrano ai pellegrini di consegnare “Missive” ai loro ulema e sultani, intimando loro di seguire la “via dell’unitarismo”, sotto la pena si dover subire il Djhad. Come risposta a questa azione, numerose refutazioni se la prenderanno direttamente con Abd al-Wahab, “l’innovatore, lo smarrito, l’ateo ed il falso profeta” e la Sublime Porta incaricherà il Khedivé egiziano, Mehemet Alì Pashà (1769-1849) di schiacciare “la banda degli usurpatori”. Uno scambio di 25 lettere rimaste in archivio ci forniscono la misura dei preparativi per questa spedizione punitiva. La spedizione ha inizio nel 1811, ma Diriya sarà distrutta solo nel 1819 ed una volta partiti gli Egiziani, nel 1821 viene ricostruito un secondo regno ridotto, però, al solo Nadjd centrale, mentre il primo si era esteso fino allo Yemen. Il regno, minato da dissensi familiari, si indebolisce e si sfilaccia, mentre il clero non farà altro che adeguarsi all’imanato del vincitore. Il terzo regno ne trarrà le conseguenze stabilendo prioritariamente un regolamento di successione. Come spiegare il successo dei Saud nella conquista dell’Arabia ? Essi appartengono alla più grande confederazione tribale (Anaza), sulla quale essi si appoggiano: le famiglie regnanti del Bahrein (gli al-Khalifa) e del Kuweit (i Sabbah) derivano anch’essi dagli Anaza, mentre quella del Qatar (gli Al-Thani) proviene dai Banu Tamin, il clan tribale di Abd al-Wahab. I Saud unificano una Arabia frammentata a colpi di spada, appoggiati ad una dottrina settaria, alla fine riabilitata come ortodossa. Con Abd al-Aziz, la condivisione fra politica e religione diventa un fattore di vantaggio. Egli cortocircuita il clero con un altro patto verbale, concluso con Roosevelt nel 1945: petrolio contro protezione !!! Anche se secondo il traduttore ed unico testimonio William Alfred Eddy (1896-1962), non se è parlato espressamente. Da quel momento l’Arabia è diventata veramente saudita. Un clan familiare - stimato oggi a circa 15 mila principi – negozia la sua sopravvivenza dalla guerra fredda fino all’attuale frammentazione del Medio Oriente. Per quanto concerne i Wahabismo, sotto l’egida del Consiglio dei grandi ulema (1970), esso gestisce la pia società ed esporta il fanatismo. I Talebani hanno instaurato il suo ordine morale ed i djhadisti si abbeverano alle sue Fatwa. Il successo è tale che l’ideologia dispensa i suoi stessi iniziatori. Appare comunque difficile immaginare una Arabia “desaudizzata”, se non attraverso i metodi brutali, che hanno costruito la gloria di emiri, avventurieri e briganti. BIBLIOGRAFIA Al-Yassini, Religion and State in the Kingdom of Saudi Arabia, Londra, Boulder, 1986 Esposito John Louis, The Oxford History of Islam, anche in veste di curatore (2004) ISBN 0-19-510799-3 Kostiner J., The Making of Saudi Arabia: from Chieftaincy to monarchical State, Oxford, 1993
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