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LO SCONTRO TRA FRANCIA E INGHILTERRA AVEVA COME FINE L’EGEMONIA MONDIALE La contesa tra le due super potenze per il dominio degli spazi coloniali e commerciali del mondo 09/06/2019 - Massimo Iacopi (Assisi PG) Questo scontro fra le due nazioni, durato 60 anni e denominato da molti storici “Seconda guerra dei cent’anni”, ci evidenzia oggi come esso sia stato, a tutti gli effetti, una guerra per l’egemonia del mondo, totale E su scala planetaria. Raramente nella cronaca del confronto-scontro fra la Francia e l’Inghilterra l’intensità è stata così drammatica come nel periodo 1755-1815. La posta in gioco era di capitale importanza; nientemeno che la lotta fra due super potenze europee per il dominio degli spazi coloniali e commerciali in America, in Africa ed in Asia. La storia diplomatica classica aveva già individuato nel periodo 1693 - 1815 (dalle guerre di Luigi XIV (1638-1715) alla battaglia di Waterloo) una seconda guerra dei cent’anni”, vinta dalla Gran Bretagna, che riesce, dopo Trafalgar, nel 1805, ad assicurarsi, il suo pieno ed incontrastato dominio dei mari. In una prospettiva globale, oggi, il periodo che vede la lotta ad oltranza delle due potenze del tempo, a partire dalla guerra dei Sette Anni (1756 al 1763) fino al 1815, data della sconfitta di Napoleone Bonaparte (1769-1821), viene considerato ed osservato in maniera più specifica. Due paesi che hanno inventato nuove maniere di combattere, che, di fatto, ha visto un coinvolgimento sempre più rilevante delle loro società nella lotta. Le economie, che si organizzano in funzione di sforzi, sconosciuti fino a quel momento, hanno necessità di tutte le forze vive dei due paesi, nella prospettiva di una globalizzazione del conflitto. La vittoria non si gioca più esclusivamente in Europa, ma negli spazi colonizzati. Nella nuova prospettiva a vasta scala, la cronologia è stata rivisitata ed alcune date sono venute ad assumere importanza di rilievo. In definitiva, in questa sequenza temporale di circa 60 anni, ben cinque anni segnano ciascuno svolte fondamentali: 1763, 1783, 1793, 1893 e 1813. 1763, la fine della guerra dei Sette Anni Il 1763 costituisce per la Francia una peggiori date della sua storia. Il Trattato di Parigi, che mette fine alla Guerra dei Sette Anni, sancisce un bilancio disastroso: il regno ha perduto il Canada, l’Acadia, la Luisiana, i suoi possedimenti in India, le terre dell’estuario del Senegal, l’isola di Minorca, l’isola di Saint Vincent, la Dominicana, Grenada e Tobago. La rotta è totale. La Blue water policy (strategia blu marino) inglese ha vinto su tutti i fronti. Peggio ancora: la Francia si è rivelata incapace di raccogliere la sfida sui campi di battaglia europei, incassando una serie di sonore sconfitte fra le quali quella di Rossbach (5 novembre 1757). La Marina reale, soprattutto, ha fallito la sua missione davanti alla combattività degli Inglesi, che non hanno ceduto nulla su quello che costituirà la base della futura prosperità: dominio delle rotte marittime per il controllo degli spazi colonizzati. A questo punto, si impone un ritorno di otto anni indietro, nel 1755, per comprendere la nuova strategia messa in opera dal governo inglese, al fine di ottenere il successo in questa guerra di nuovo tipo. Potere economico, potere politico, potenza sociale ed ammiragliato sono intimamente connessi nell’organigramma dello Stato di Re Giorgio II (1683-1760). Interessi condivisi nell’ambito delle aristocrazie, rendono tali elementi coesi in una stessa comprensione delle sfide geostrategiche, a livello planetario. La potenza della Royal Navy è al servizio dell’espansione diplomatica inglese, che assicura l’influenza della Corona attraverso il possesso di territori ultramarini. Si tratta di fare delle isole Britanniche, inizialmente, il punto di riferimento del commercio europeo e, successivamente, il punto di connessione con i quattro continenti. L’attacco della marina inglese sulle coste canadesi, condotta durante l’estate del 1755 dal vice ammiraglio Edward Boscawen (1711-1761), si conclude, inizialmente, con la conquista di due vascelli, il Lys e l’Alcibiade e, quindi, con la presa di 400 navi da pesca con i loro marinai. L’episodio costituisce una rottura delle regole di guerra che provoca forte impressione nell’opinione pubblica francese del tempo. La maniera con cui vengono condotti i combattimenti da parte inglese e, poco dopo, anche da parte francese sulla linea del fronte dei laghi nord americani, quindi lungo i forti francesi dell’Ohio e del Missouri, indica un progressivo incremento nella violenza degli scontri. La sinergia fra i combattimenti classici di eserciti di mercenari ed il sostegno di milizie civili che difendono il loro territorio, ma, soprattutto, l’adattamento alle tecniche della “piccola guerra” (guerriglia) da parte degli Indiani, implicano un livello di violenza, constatato da tutti gli attori coinvolti, che trasforma le guerre coloniali ed indiane in un laboratorio di lotta ad oltranza, come lo stanno a dimostrare il massacro di Jumonville nel 1754 o quello di Forte William Henry, nell’agosto 1757, contro un distaccamento inglese. Il futuro grande esploratore Luis Antoine, conte de Bougainville (1729-1811), all’epoca giovane ufficiale, risulta cosciente del fatto che è stato superato un nuovo livello di violenza: “Sono accaduti in questa occasione eccessi di furore e bassezze incredibili sulle quali non si può scrivere e che, di tutto cuore, vorrei dimenticare, ma sfortunatamente ne ho personalmente troppo viste ed intese”. E’ ormai la nazione nel suo insieme che si trova coinvolta nella guerra. Dopo la stretta fiscale della metà del 18° secolo, la guerra non si può più fare senza l’assenso dei sudditi, messi sotto pressione dalle imposte. Il nemico, anche lui, cambia il suo volto. Esso diventa la bestia malefica da abbattere o il barbaro da uccidere senza pietà. All’annuncio delle “guerra senza legge”, condotta dall’ammiragliato inglese, i Francesi si scatenano: furberia e brutalità caratterizzano la “perfida Albione”, moderna Cartagine, che Parigi si ripropone di abbattere per salvare la civiltà regolata dalle buone maniere e dai “dolci costumi francesi”. Il René-Louis de Voyer de Paulmy, marchese d’Argenson (1694-1757), pensatore politico durante la Guerra di Successione Austriaca (1740-1748), Segretario di Stato agli Affari Esteri, descrive gli Inglesi come degli esseri “arroganti, ambiziosi ed usurpatori” … “che, alla stessa maniera degli Algerini, dichiarano guerra ed attaccano senza diritto”. Nel 1757, un “Piccolo catechismo politico degli Inglesi” si incarica di mostrare che essi incarnano il peggio del machiavellismo politico, il cui solo obiettivo è la spoliazione delle ricchezze del mondo e la distruzione delle sue culture, così come è ampiamente dimostrato dal dominio imposto al continente indiano. Altra illustrazione di questa nascente anglofobia é Pierre Lefebvre de Beauvray (1720 circa-1793), che, nel suo “Appello alla nazione inglese”, presenta nel 1757 un poema patriottico le cui formule, indubbiamente, non lasceranno indifferente Claude Joseph Rouget de Lisle (1760-1836), autore 35 anni dopo della “Marsigliese: “Va per distruggere, armare i tuoi battaglioni/e del tuo sangue impuro irrigare i tuoi solchi”. Dall’altro lato della Manica, un uomo entra in scena per lunghi anni e trasforma l’opinione pubblica inglese: William Pitt (1759-1806). Legato agli interessi dell’impero coloniale, Egli ha compreso il ruolo della mobilitazione psicologica di tutti gli Inglesi. Egli si appoggia, a tal fine, sulla ricostruzione dell’identità dei “Britons”, ricordando la loro cultura repubblicana, la loro volontà di costruire un Commonwealth e la minaccia che fa pesare sulle loro libertà, l’assolutismo cattolico francese. L’avvenire dell’Inghilterra si gioca e si costruisce contro la Francia e sui mari. Mobilitazione navale, conquiste militari su tutti i continenti da sfruttare, costruzione di una opinione pubblica, resa salda dal “patriottismo” (un anglicismo importato dalla Francia, di stampo patriottico) e la Blue Water Policy saranno gli elementi di base che costituiranno i fondamenti della vittoria inglese. E’ vero che gli Inglesi non hanno scelta. Le spese, impegnate ad oltranza in questa guerra, determinano un livello di indebitamento che gli ambienti finanziari desiderano chiudere con un “pace punitiva”. In definitiva, non occorre solo vincere la guerra, ma è essenziale che la pace rimborsi le spese fatte per le ostilità. Il 1763 assicura il trionfo di questa nuova concezione della guerra imposta dagli Inglesi e che sconvolge la seconda metà del XVIII secolo. Il 1783, la rivincita A quel punto, i Francesi non restano con le mani in mano. Étienne-François, Duca de Choiseul (1719-1785), diventato nel 1761 Segretario di Stato alla Guerra, inizia a riformare l’esercito, per adattarlo alla guerra inventata dagli strateghi d’oltre Manica. Occorrono armi pesanti e vascelli rapidi, capaci di fulminare l’avversario. Sarà il periodo dell’invenzione della fregata, messa a punto dai migliori ingegneri francesi e la comparsa del sistema Gribevaul (Jean-Baptiste Vaquette de Gribeauval (1715 –1789), inventore dell’affusto mobile e della standardizzazione di calibri dei pezzi d’artiglieria), il cannone che consentirà di battere gli eserciti europei fino al 1813. Occorre anche formare gli uomini, Luis Antoine de Bougainville, Pierre André de Suffren de Saint-Tropez (1728-1788), Marie-Joseph Paul Yves Roch Gilbert du Motier, Marchese de La Fayette (1857-1834), Jean-Baptiste Donatien de Vimeur de Rochembeau (1725-1897) costituiscono i migliori esempi di questa anglofobia marziale. Il conflitto assume dimensioni planetarie con la corsa alla scoperta del continente australe, che si maschera e si nasconde sotto le forme delle avventure scientifiche, ma che non può nascondere una competizione senza pietà, contro il capitano James Cook (1728-1779) per la conquista delle isole del Pacifico. E’ proprio nel quadro di questa lotta che Luigi XVI di Borbone (1754-1793) si lascia convincere, nel 1778, a firmare un alleanza con la nuova Repubblica Americana (le 13 Colonie), nata nel 1776, da una secessione nell’Impero Britannico. Charles Gravier, Conte de Vergennes (1719-1787), il suo Ministro degli Esteri, è ben deciso a battere gli Inglesi, anche a costo di allearsi con gli insorti repubblicani americani. In effetti, i coloni delle Tredici Colonie, per lungo tempo reticenti nell’aiutare la metropoli britannica, esprimono la loro aperta ostilità a pagare il debito di Londra dopo il 1763 e riprendono, per proprio conto ed a loro vantaggio, il discorso di Pitt sulle virtù della repubblica al fine di rivendicare la loro libertà. Inespugnabili all’esterno, gli Inglesi mostrano, tuttavia, alcune fragilità interne: l’Inghilterra ha come principale sfida quella di riuscire a controllare le sue popolazioni tendenzialmente centrifughe, Gallesi, Scozzesi, Irlandesi ed Americani, A prezzo di inaudite violenze, il cui migliore esempio è la repressione d’Irlanda del 1798 (molto simili a quelle esercitate in Vandea nel 1793-1794 dalle colonne francesi di Louis Marie Turreau, detto Turreau de Garambouville (1856-1816)), l’unità del regno, dopo la lezione americana, verrà preservata ad ogni costo e la Corona britannica imporrà, infine, l’Atto di Unione del 1801.Tuttavia, le Tredici Colonie, con l’appoggio della Francia, diventeranno uno stato indipendente, infliggendo alla prima potenza mondiale una disfatta che porterà al Trattato di Versailles, firmato nel 1783. Durante il conflitto, il dominio coloniale francese servirà da base arretrata per le flotte, evidenziando anche la sua posizione strategica nel conflitto planetario scoppiato fra i due paesi. Venti anni dopo il 1763, la Francia ottiene la sua rivincita. Ma decisamente a caro prezzo. La divisioni interne all’aristocrazia francese e l’indebitamento dello Stato imporranno una fiscalità sempre più pesante e porteranno al blocco di tutto il regno ed al crollo di tutte le sue istituzioni. Meno di quattro anni dopo, nel 1787, scoppierà in Francia la ribellione dei parlamenti e dei nobili. 1793, due visioni del mondo Il parossismo dello scontro viene raggiunto durante la Rivoluzione. Non si tratta, in questo caso, solamente del conflitto classico fra la repubblica nascente e le vecchie monarchie europee. In effetti, si gioca ben altro fra l’Inghilterra imperialista e la Francia, che - dopo la pubblicazione in tutta Europa del decreto del 19 novembre 1792 - spinge all’adozione dei suoi principi repubblicani e che promette di portare soccorso a tutti i popoli che desiderano ritrovare la libertà !...Tutto sembrava in effetti andare per il meglio. Eppure le relazioni fra i due paesi avevano subito un miglioramento dopo il Trattato di Commercio del 1786, che prevedeva un abbassamento progressivo dei diritti dogana fra la Francia e l’Inghilterra. In questi anni, era risorto in Francia un certo sentimento anglofilo, reso possibile dalla volontà di riformare in maniera liberale la Francia, sulla scorta del modello inglese. In tale contesto, nel 1789, le isole Britanniche accolgono favorevolmente la Rivoluzione, collegato inizialmente dagli Inglesi con il loro modello glorioso del 1688. Vengono create numerose società, come la London Corresponding Society o la London Revolution Society, nella tendenza radicale neo Whigs (liberali), allo scopo di estendere in Inghilterra il vento di libertà, di tolleranza, di cittadinanza condivisa e di uguaglianza, per riformare una monarchia inglese scossa dal repubblicanesimo americano ed incancrenita dai suoi ricorrenti scandali di corruzione. Vengono scambiate missive ed organizzati banchetti di fratellanza, da una parte e dall’altra del Canale, in occasione della Festa della Federazione nel 1790. Alla fine del mese di agosto 1792, fra i 18 stranieri che ottengono la cittadinanza d’onore francese, 7 sono inglesi; mentre altri 6 seguiranno il 25 settembre. Una comunità di Americani e di Inglesi difende la nascita della Repubblica fra i quali Thomas Paine (1737-1809) ed Helen Maria Williams (1759-1827), fervente sostenitrice dell’emancipazione delle donne. Ma, ben presto, le forze conservatrici inglesi percepiscono il pericolo di una rivoluzione, non solo repubblicana, ma anche democratica. La City si infiamma, gli ambienti politici iniziano a contrastarne il passo. Il filosofo, politico Edmond Burke (1729-1797) tuona contro questa empia rivoluzione ed i manipolatori d’opinione; i disegnatori ed i giornalisti al soldo del governo o solamente convinti della loro “Britannicità” in pericolo, si mettono in marcia per costruire la visione di una Francia assetata di sangue, volgare nel suo vestire senza le “culottes”, brutale nella sua distruzione della religione, abbietta nei suoi massacri, sacrilega nell’esecuzione del suo re, dimenticando, evidentemente, il dettaglio della decapitazione con l’ascia di Re Carlo I degli Stuart (1600-1649), nel 1649. E’ ancora una volta la storia coloniale che fa pendere la Corona britannica dalla parte dei suoi interessi diretti. La sorte dei due paesi non si ribalta solamente con la testa di Luigi XVI Borbone (1754-1793), il 21 gennaio 1793, ma con la politica della Francia nei Caraibi, proprio nel momento in cui riconosce ai liberi di colore il diritto di diventare cittadini a pieno titolo. Le lobby dei piantatori inglesi spinge per l’entrata in guerra che possa bloccare qualsiasi propagazione dei nuovi ideali nei Caraibi. E questo diventerà cosa fatta il 1° febbraio 1793. In Francia, l’animosità contro gli Inglesi si struttura attorno all’idea che essi sono il nemico del genere umano. Inizialmente, Massimiliano de Robespierre (1758-1794) afferma esplicitamente la sua animosità (Io odio gli Inglesi !), quindi è la volta di Bertand Barère de Vieuzac (1755-1851), nel maggio 1794. Nel febbraio 1794, con l’abolizione della schiavitù votata dalla Convenzione, la guerra diventa totale. Gli Inglesi comprendono perfettamente il pericolo per i loro possedimenti coloniali ed inviano sempre più uomini armati nello spazio delle Antille per reprimere le rivolte degli schiavi, sacrificando al di la dell’Oceano molti più soldati che in Europa. Ne va della sopravvivenza dell’economia inglese. La gradazione nella violenza deve essere accettata e sostenuta, fra gli altri, anche da un episcopato messo al servizio della Corona, allo scopo di attizzare negli strati popolari l’odio per gli empi anarchici francesi ed i loro paese, ridotto, proprio nel momento delle grandi scoperte scientifiche inglesi, ad un “paese delle scimmie” (“Monkey Land”). Lo scontro frontale dura fino alla firma, nel 1802 della Pace di Amiens. Di volta in volta, i due paesi hanno rischiato di perdere: la Francia nel 1793 e nel 1798, l’Inghilterra fra il 1797 ed il 1798, di fronte a grandi rivolte ed alla secessione irlandese. Nel 1802, si impone uno statu quo fra la Francia vittoriosa nel continente e l’Inghilterra vittoriosa in Egitto, tanto che l’imperatore, nello stesso anno ha ristabilito la schiavitù ed assicurato a Santo Domingo, la prosecuzione dei profitti per i piantatori di tutte la nazionalità. Tuttavia, la pace non poteva durare a lungo, con un Bonaparte in cerca di legittimità, che solo una vittoria militare gli poteva portare e gli Inglesi, troppo presi nel controllo del commercio mondiale per accettare le sue velleità espansionistiche. 1803-1813, logica di un fallimento Bony (un sacco di ossa pronto a divorare l’Europa) Napoleone, come lo chiamano gli Inglesi, prepara un’invasione dell’Inghilterra, dopo il sequestro di un centinaio di vascelli francesi e batavi. La pace viene rotta a partire dal mese di maggio 1803. Di fronte alle coste inglesi, il campo di Boulogne diventa un fucile puntato sulle falesie di Dover e di Folkestone. Di nuovo, è la paura ed un sussulto collettivo degli Inglesi, che provvedono a rinforzare la loro specificità. Gli eserciti di mestiere vengono riformati con un sistema di coscrizione. Le milizie popolari e costiere vengono riunite in una situazione di entusiasmo senza limiti. Ma agli Inglesi - dopo che la Battaglia di Trafalgar, nel 1805, ha contribuito a consolidare l’impero dei mari e dopo essersi assicurati il controllo delle colonie francesi - occorre dotarsi di una strategia terrestre per sloggiare Napoleone dal campo di battaglia europeo ed imporre, in tal modo, una pace vittoriosa e senza condizioni alla Francia. Questo progetto diventerà realtà dopo il 1813, con la comparsa del “generale cipays” Lawrence Thomas Arthur Wellesley, Duca di Wellington (1769-1852), dimostrando l’importanza e la centralità delle colonie nel conflitto fra i due paesi. La strategia inglese ha modellato, in India, una tecnica di combattimento, decisamente diversa di quella frontale praticata dall’imperatore dei Francesi. Occorre resistere e far durare il più a lungo possibile lo scontro, per attaccare nel momento in cui l’avversario, incapace di sostenersi più a lungo, mostrerà le sue debolezze (sotto questo aspetto, Napoleone farà il gioco del nemico, lanciandosi nella esiziale avventura russa). Questa tattica esige sangue freddo, resistenza nel tempo e coraggio. Altrettante qualità di cui il generale Wellington aveva dato prova nel corso delle guerre coloniali. La ritirata di Russia nel 1812 è stata per i Francesi tragica e spettacolare, ma la successiva sconfitta di Vitoria (Paesi Baschi) in Spagna, inflitta il 21 giugno 1813 da parte degli Alleati (Gran Bretagna e Spagna), sarà altrettanto grave, perché causerà il riflusso della Francia all’interno delle sue frontiere e l’occupazione del sud del territorio metropolitano da parte dell’esercito inglese. A Waterloo, certamente aiutato anche dalla fortuna, Wellington applica nuovamente le ricetta del 1813, operando con molta pazienza, incassando la mitraglia francese, ma attirando i Francesi verso i quadrati inglesi e scozzesi e riuscirà a chiudere “la tragedia in cinque atti per la Francia” con la definitiva sconfitta di quest’ultima. Il regno britannico esce come il solo vincitore. La Francia, alla fine del Congresso di Vienna, che dà vita ad un nuovo equilibrio europeo, non è più la seconda nazione, ma bensì la quinta, dietro la Russia, l’Austria e la Prussia, rientrando all’interno dei suoi confini storici del 1789, dopo un periodo passato nelle mani dei vincitori. Ancora una volta, in maniera paradossale, un nuovo sussulto si verificherà in Francia, con la formazione di un secondo impero coloniale, come surrogato agli appetiti europei e alle lotte civili fra i due modelli politici opposti, quello di una monarchia tranquilla ed allineata all’Inghilterra e quello di una repubblica indipendente e potenzialmente rivoluzionaria per l’Europa. Solo la prepotente comparsa della Prussia nella seconda metà del 1800 sarà capace di trasformare e metamorfosare la secolare ostilità fra la Francia e l’Inghilterra, trovando un nemico comune, la Germania !!! BIBLIOGRAFIA Anderson Red, Crucible of War: The Seven Years' War and the Fate of Empire in British North America, 1754–1766, Faber and Faber, 2000 Clodfelter Micheal, Warfare and Armed Conflicts: A Statistical Encyclopedia of Casualty and Other Figures, 1492-2015, Jefferson, North Carolina, McFarland; Füssel Marian, La guerra dei sette anni, Società editrice il Mulino, 2013; Gates David, The Spanish Ulcer: A History of the Peninsular War. Da Capo Press 2001; Napier William Francis, The War in the Peninsula (6 volumi). Londra, John Murray (Vol 1), and private (Vols 2-6), 1828-40. Oman Charles, The History of the Peninsular War (7 volumi). Oxford, 1903-30
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