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L’ITALIA NON HA SMESSO MAI DI ATTIRARE I VIAGGIATORI EUROPEI. Ancora oggi, pellegrini, studenti, mercanti, giovani, nobili e scrittori sono infatuati dell’Italia 20/08/2019 - Massimo Iacopi (Bardonecchia) Nel 1694, viene pubblicata a Bologna la “Calamita d’Europa (l’Aimant de l’Europa). Come lo dimostra il titolo di questo opuscolo dedicato a Venezia e scritto da un gesuita italiano, la coscienza del potere attrattivo dell’Italia è legata ad un’impresa di propaganda. I numerosi elogi che celebrano le città della penisola sono destinati agli stranieri che vengono da tutte le parti dell’Europa, in modo che essi veicolino poi, presso le loro regioni, le immagini che hanno ammirato sul posto. Venezia, così come Roma, cuore della Contro Riforma, organizza nel XVII secolo una vera offensiva: si tratta di preparare gli Europei a visitare una città magnifica che si offre ai visitatori attraverso un arsenale di simboli. Come nelle altre città italiane, gli stranieri spendono denaro nella capitale della Cristianità per prendere alloggio e per spostarsi, generando una economia dinamica. Malgrado inevitabili alti e bassi, la penisola italiana, fra il 1500 ed il 1850, è stata per molti aspetti una vera calamita per gli Europei. Uno spazio da possedere La fascinazione per l’Italia risulta allo stesso tempo da una volontà di dominio e di scambi. Da un lato, essa viene trattata come uno spazio da possedere, dei cui ogni potenza straniera cerca di servirsi. Dall’altro lato, il prestigio della Chiesa Cattolica, del passato antico e dell’Umanesimo, pone l’Italia alle origini della cultura classica, comune alle aristocrazie del continente. La penisola costituisce in primo luogo una posta politica e diplomatica. Essa svolge nel Mediterraneo il ruolo di luogo di passaggio, offrendo territori che possono, come il Regno di Napoli per gli Angioini francesi, servire da punto di partenza e di tappa sulla via delle Crociate. Le presenza germanica e le razzie ottomane sono antiche. Nell’Epoca moderna per consolidare la loro potenza, gli stati europei tentano di esercitarvi il loro dominio o di allacciare alleanze come premessa per creare le condizioni per interessi a più larga scala. Dopo il fallimento delle velleità francesi durante le cosiddette Guerre d’Italia (1494-1559), gli Spagnoli dominano la penisola prima di lasciare in gran parte il posto agli Austriaci a partire dal 1713 (1). L’Inghilterra, per quanto la riguarda, è entrata nel gioco mediterraneo dalla fine del XV secolo contrastando i mercanti veneziani e fiorentini, che vi importavano prodotti di lusso. Nel 1656, essa si allea, stavolta con Venezia contro i Turchi, quindi con Carlo Emanuele II di Savoia contro la Francia e la Spagna. Dopo la conquista di Gibilterra, nel 1704 e di Minorca, nel 1708, l’Inghilterra continua ad intervenire in Italia e nelle sue isole. Charles Louis de Secondat, barone de Montesquieu (1689-1755) arriverà a scrivere nel 1728: “Gli Inglesi si portano via tutta l’Italia, quadri, statue, ritratti”. Nell’epoca napoleonica, quindi negli anni 1815-1848, la Gran Bretagna si allea ai Borboni di Napoli al fine di togliere un appoggio alla Francia e di rinforzare la sua potenza navale. La Francia, da parte sua, non ha rinunciato al suo irrefrenabile desiderio di dominare la penisola. L’attrazione per l’Italia del Nord si manifesta sotto Enrico IV (1553-1610), Luigi XIII (1601-1643) e Luigi XIV (1638-1715): si tratta per i re di Francia di allacciare alleanze e di acquisire territori tampone o piazzeforti, organizzando una fascia protettiva di espansione e di difesa dal Bugey verso il Piemonte, il Monferrato ed il ducato di Mantova. Nel XVIII secolo, i legami dinastici consentono ai re di Francia di estendere la loro influenza sulla penisola. E’ il caso del ducato di Parma, amministrato da Guillaume du Tillot (1711-1774) dal 1759 al 1771, su interessamento di Luigi XV (1710-1774). Il dominio della Francia sulla Corsica nel 1768, per concessione dei Genovesi, costituisce un vantaggio nella concorrenza con gli Inglesi: il controllo dell’isola garantiva il controllo del bacino occidentale del Mediterraneo. Al momento della Rivoluzione, la Francia cerca ancora di riprendere in mano l’Italia al fine di ostacolare la potenza britannica. Questa è una delle ragioni della Campagna d’Italia condotta da Napoleone Bonaparte (1769-1821) sotto il Direttorio (1796-1797). Ma la Russia e soprattutto l’Austria non rimangono a guardare, ottenendo il sopravvento sulla Francia durante la seconda Campagna d’Italia nel 1799, quindi al Congresso di Vienna del 1814-1815. Di fatto, l’Italia rimane fino agli inizi del XX secolo un elemento fondamentale della politica mediterranea delle grandi potenze. Le poste in palio sono anche di tipo economico, perché i mercanti europei percorrono nell’epoca moderna questo spazio di consumo e di scambi. Inglesi e Francesi inviano ancora nel XVIII secolo agenti per condurre inchieste sulla fabbricazione della seta o sul Catasto di Milano, di Torino o di Firenze. Le tecniche messe a punto in Italia affascinano Montesquieu ed i librai della zona di Briançon si insediano a Torino, Genova, Roma e Palermo. La penisola esporta verso il resto dell’Europa le porcellane di Doccia, come l’olio della Puglia o della Sicilia. L’Italia, attira, da ultimo, anche per ragioni confessionali e morali. Attraverso i pellegrinaggi, iniziati sin dal III secolo sui luoghi riportati dai Vangeli, l’Occidente prende coscienza di una forma di destino comune. La via Frangigena, che porta i pellegrini a Roma dalla Francia è attestata sin dal IX secolo. Dopo il fallimento dell’ultimo tentativo di Crociata nel 1291, Roma diventa la destinazione privilegiata dei Cristiani. Il viaggio sacrale viene compiuto sotto la stretta sorveglianza morale della Chiesa, che mette in guardia i fedeli nei confronti dei rischi di perdere la propria anima, lasciandosi distrarre lungo il cammino dalla “curiosità” nei confronti delle cose terrene. In ogni caso i pellegrinaggi tendono ad indebolirsi nel XVI e soprattutto nel XVII secolo, ma molti fedeli continuano comunque a recarsi in Italia. I viaggiatori protestanti tedeschi o inglesi non mancano in questo fenomeno come è testimoniato dall’ugonotto Misson. La sua celebre guida dell’Italia, utilizzata per più di un secolo e mezzo dopo la sua edizione nel 1691, ironizza sulle donne italiane che si servono dei pellegrinaggi come di “una grande parte di piacere”, liberandosi “per qualche giorno dalla servitù e dai vincoli nei quali le tengono mariti gelosi”. L’epoca del Grand Tour Ma alle origini del Grand Tour si trova un’altra pratica, decisamente ben diversa dal pellegrinaggio: la peregrinatio academica. Nel momento della creazione di una rete di università, specialmente nel sud del continente, come a Bologna (1088) o Padova (1222), i nobili, più spesso del mondo germanico, inviano i loro figli a seguire i loro studi accademici. Questa pratica culmina nel XVI secolo e prosegue per tutta l’Epoca moderna, dove i soggiorni nelle città universitarie diventano altrettante occasioni per visitare, palazzi, chiese, biblioteche e per partecipare a feste ed eventi mondani. Il Grand Tour, proveniente dalla rivoluzione educativa inglese, valorizza il contatto diretto con i paesi stranieri ed i loro abitanti da parte dei giovani delle classe superiori, le cui famiglie desiderano che si istruiscano, approfittando nel contempo dei piaceri dell’incontro e degli spettacoli. Anche se il viaggio deve effettuarsi anche in Francia, nel mondo germanico ed in Olanda, il Tour d‘Italia ne costituisce la parte fondamentale. Questa pratica di un viaggio che può durare qualche anno viene giustificata dalle arti del viaggiare che, a partire da Theodor Zwinger, il Vecchio (Basilea 1533-1588) nel 1577, non smettono di descrivere per ben due secoli e mezzo la “maniera di viaggiare con vantaggio”. L’idea di un viaggio di formazione per permettere alle future aristocrazie di conoscersi, trova in Italia un terreno ideale. Il modello educativo sviluppato dall’inglese Francesco Bacone (1561-1626), nel 1625 nel suo saggio “Dei Viaggi” si basa sulla compagnia di un precettore idoneo a guidare il giovane. Questi deve possedere rudimenti della lingua, saper utilizzare le carte e libri, saper trascorrere un tempo ragionevole, ma non troppo lungo, in ogni città, frequentandovi le accademie e la buona società e soprattutto tenere un giornale nel quale registrare le proprie riflessioni. Indubbiamente gli itinerari sono diversi e contrariamente a quanto ritenuto, il Grand Tour non si pratica unicamente dall’Europa anglo sassone, francese, scandinava o russa verso l’Italia, ma anche dalla stessa penisola. A tale fenomeno partecipano anche le donne oltre a principi in incognito per evitare i rituali connessi a loro rango e per meglio soddisfare il loro desiderio di conoscere. Il Grand Tour, pur contribuendo a modellare codici di comportamento dei giovani nobili destinati ad alte funzioni, definisce una maniera di viaggiare che lascerà tracce anche al di là di questo gruppo ristretto di viaggiatori. In tale contesto si possono incontrare viaggiatori già attempati, come Montesquieu che nel 1729, quando discende a Roma e Napoli, ha già 40 anni. I figli di famiglie borghesi visitano anche loro l’Italia per istruirsi in vista dell’esercizio degli affari e per acquisire una educazione morale a contatto con le opere d’arte. Verso il turismo Nella metà del XVIII secolo, le forme di attrattiva dell’Italia si modificano radicalmente. Dal rinascimento la penisola viene percepita come una terra classica dove abbondano i ricordi antichi, un luogo di cultura umanista, una riserva di mirabilia e di reliquie. Gli Europei visitano le città, dove ammirano le chiese, i palazzi e le loro collezioni di opere d’arte. Fuori dagli spazi urbani, essi percorrono i giardini delle ville principesche come Michel Eyquem de Montaigne (1533-1592) a Pratolino, presso Firenze con i Medici. Il suo clima temperato, la sua meravigliosa fertilità e l’abbondanza delle opere del genio umano costituiscono uno dei punti chiave delle guide per tutta l’Epoca moderna. L’Italia rimane durevolmente “la più bella e la più deliziosa parte dell’Europa”, se non il … “giardino del mondo”. Il gusto delle aristocrazie si evolve nel XVIII secolo sotto l’influenza di artisti e di scienziati. Se si recano a Roma per apprendere meglio il loro mestiere, i pittori e gli architetti incitano ugualmente i nobili, che spesso guidano, a lasciare le città e le loro mondanità a vantaggio dei siti archeologici e della natura selvaggia nelle montagne o sulle rive marittime, prima di aprire i loro occhi sulle presenze medievali delle città. Da parte loro, le persone di scienza, specialmente i naturalisti, esplorano i paesaggi al ritmo della marcia. Durante le loro passeggiate geologiche o botaniche, essi scrutano i dettagli del territorio, modificando il senso dei percorsi, fino a quel momento inquadrati da un approccio enciclopedico negli studi e nelle biblioteche. Gli scrittori ed i pittori contribuiscono anche loro a trasformare i viaggi in Italia in momenti di emozione. Il gusto per i panorami si esprime nelle alpi come in Calabria, in Liguria o sulla Costa amalfitana. Ben presto favoriti da strade panoramiche, l’infatuazione per le rocce a picco e le scene contrastate porta all’esaltazione delle viste dall’alto verso il basso e dal basso verso le vette, dal mare verso la terra e dalla terra verso il mare. Anche fra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX, quando la Francia domina il territorio italiano, la penisola continua ad accogliere visitatori da tutta l’Europa, come Alexander von Humboldt (1769-1859) e Joseph Louis Gay Lussac (1778-1850) nel 1805. L’Italia diventa ugualmente una terra di rifugio per gli emigrati venuti dalla Francia rivoluzionaria, come Elisabetta Vigée Lebrun (1755-1842), la pittrice di corte di Maria Antonietta d’Asburgo Lorena (1755-1793), a partire dal 1789. Essa conserva questo particolare statuto per tutta la durata del XIX secolo per il fatto di accogliere esiliati provenienti dalle corti italiane decadute (Carlo X di Borbone di Francia (1757-1836), l’imperatore Pedro II di Bragança del Brasile (1825-1891), ecc.) e visitatori solidali alla causa del Risorgimento Nazionale. Da François Renée de Chateaubriand (1768-1848) a Lord Georges Gordon Byron (1788-1824) e la poetessa Louise Colet (1810-1876), vi si medita sul passato e vi si proietta a volte il futuro, godendo, allo stesso tempo, del clima e delle sue ricchezze artistiche. A tal proposito vale la pena il caso specifico di Marie Henri Beyle, detto Stendhal (1783-1842) che, nel 1817, di fronte alla profusione delle opere d’arte durante un suo viaggio a Firenze viene preso da una sindrome che più tardi porterà il suo nome (2). Il periodo romantico vede elaborarsi un’etica della liberazione degli spazi per sfuggire all’influenza industriale. I viaggi verso le stazioni termali ed i luoghi di villeggiatura diventano l’occasione per una rigenerazione del corpo e dello spirito per gli Europei, seguendo l’esempio e la moda dei Britannici (3). Dal disdegno alla fascinazione Il bisogno di guarigione a contatto di climi più favorevoli del mediterraneo giustifica nella realtà un desiderio di libertà, lontano dal contesto di vita austera e moraleggiante del paese d’origine. Vi si aggiunga un desiderio intellettuale del Rinascimento italiano, espresso specialmente dallo scrittore William Roscoe (1753-1831), quindi dal critico d’arte John Ruskin (1819-1900). Ma a questo punto si tratta sempre del Grand Tour ? Questa pratica era stata sottoposta a dura prova nel momento delle Rivoluzioni. Alcuni viaggi compiuti fra il 1815 ed il 1848 assomigliano ancora al Grand Tour: si viaggia accompagnati da domestici, da cucinieri, da precettori e da disegnatori. Molti nobili diventano nello stesso tempo pittori o artisti, senza fare più ricorso alla penna ed ai pennelli di un terzo. Il Grand Tour si trasforma in soggiorno di salute e di divertimento. Nel corso degli anni 1850 l’attrazione irresistibile dell’Italia facilitata dai trasporti più rapidi grazie al treno, ai minori costi, dalle strutture alberghiere idonei per i viaggi in gruppo ed una vera e propria industria delle guide. Dal Murray al Baedeker, passando per le guide Joanne, vengono diffusi molto rapidamente i canoni di un discorso che traduce le attese comuni di un numero crescente di viaggiatori. Si è, a volte, fatto dell’Italia un soggetto passivo di cui gli Europei si sarebbero impossessati e che si sarebbe lasciato dominare. Questo fatto ha generato immagini negative alle quali ha contribuito, nel 1807, la Corinne o l’Italie di Madame Germaine Necker baronessa de Stael Holstein (1766-1817), associando la bellezza d’Italia, affascinante per i paesi del Nord, ad una nazione in gravi difficoltà. In fatti, la carica di stereotipi fra nazioni europee si è accentuata proprio dietro la vernice del cosmopolitismo dell’Illuminismo e l’attrattiva dell’Italia è venuta spesso a frammischiarsi con forti reticenze. La fascinazione che esprime Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) nel 1786 si scontra con espressioni conflittuali che finiscono per tradursi in rivalità nel XIX secolo. questo è il caso che rivela la disputa fra archeologi tedeschi, come lo Heinrich Schliemann (1822-1890), lo scopritore di Troia, in Turchia, e gli archeologi italiani, concernente la filiazione ariana fra Troia e la Germania e la filiazione mediterranea di Troia a Roma, per mezzo della Grecia. Quello che nondimeno colpisce, in questo rapporto fra Europa ed Italia per tutta l’Epoca moderna, è sempre la forza e la durata dell’attrazione della penisola, sia essa stata descritta o meno come un “cadavere”, tanto per utilizzare l’espressione di Gaspard Monge, conte di Pelusium (1746-1818), in una lettera indirizzata a sua moglie nel 1797: “Gli Europei iniziano spesso il viaggio con disdegno e finiscono per essere catturati”. L’Italia, per la ricchezza del suo passato come anche per la sua forza vitale ben presente, non ha mai smesso di costituire una risorsa per l’Europa. NOTE (1) Con il Trattato di Utrecht del 1713 che mette fine alle Guerre di Successione di Spagna, l’Austria ottiene in Italia una parte del Milanese, Mantova, il Regno di Napoli e la Sardegna; (2) Nel 1979 la psichiatra Graziella Magherini (1927- vivente) darà il nome dello scrittore alla sindrome che prende i viaggiatori estasiati. “Io mi trovavo già in una specie di estasi, per l’idea di trovarmi a Firenze e la vicinanza dei grandi uomini dei quali avevo appena visto le tombe. Assorbito nella contemplazione della bellezza sublime, io la vedevo da vicino, e quasi quasi la toccavo. Ero arrivato a questo punto di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle Belle Arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, avevo un battito di cuore, la vita sembrava esaurita dentro di me e marciavo con la paura di cadere”. (Dal Viaggio di Stendhal a Roma, Napoli e Firenze, 1817); (3) Pemble John (nato nel 1941), Mediterraneo Passione. Vittoriani ed Eduardiani nel sud (Europa). Clarendton Press, Oxford, 1987.
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