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TRIESTE ERA CONSIDERATA LA PORTA DELL’ORIENTE Una Città sorprendente, rivale di Venezia, principale sbocco marittimo dell’Impero Austroungarico 28/10/2019 - Massimo Iacopi (Assisi PG) Premessa Trieste, alle porte dell’Europa centrale, “laddove l’ultimo soffio d’Italia, si esaurisce”, secondo François René de Chateaubriand (1768-1848), è stata da sempre anche la porta dell’Oriente, specie da quando, dopo la Prima Guerra Mondiale, a seguito di una Clausola del Trattato di Versailles, viene inaugurato un nuovo collegamento ferroviario, il Sempione-Orient Express. Già in precedenza, sin dal 1838, una linea ferroviaria raggiungeva la città di Venezia dall’Europa occidentale dove, per più di mezzo secolo aveva portato le giovani coppie di sposati nella loro luna di miele. A tale riguardo, molti scrittori dell’epoca si erano meravigliati dell’incongruità di raggiungere Venezia dalla terraferma via treno, anziché dal mare. Thomas Mann (1875-1955), a riguardo, aveva affermato che era “come entrare in un palazzo dalla porta posteriore”. Ma per altri, come Theophile Gautier (1811-1872), si era trattato, per contro, di vivere una strana impressione, quale quella di scivolare sulle onde: “Ai due lati la laguna si estendeva nel buio, con questo nero bagnato più scuro della stessa oscurità”. Si trattava, in effetti, del ponte in pietra, gettato fra il Continente e la Serenissima. Tanto per fare un’altra citazione vale la pena di ricordare l’espressione, decisamente meno entusiastica, dello scrittore francese Paul Morand (1888-1976), che, ripartendo da Venezia-Santa Lucia dirà “la stazione che finisce sul nulla, una grande cisterna d’ombra e di silenzio”. Da Venezia, infine, il treno poteva raggiungere la città di Trieste, attraverso uno stretto cordone costiero, stretto fra il Carso e l’Adriatico, che la collega al resto dell’Italia. Il console Henri Beyle (1783-1842; il cui nome da scrittore sarà Stendal, per rendere omaggio alla città natale dello storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), assassinato a Trieste), arrivando in visita nella città, ebbe ad esclamare “Qui entro in contatto con la barbarie”. Tuttavia, la città di Trieste si rivela al visitatore nel migliore dei modi. Una città medievale aggrappata ad una collina, acropoli dell’antica Tergeste, quindi, nel versante che si stende verso il mare, la città asburgica ed il suo porto. La prima pietra della stazione ferroviaria di Trieste viene posta nel 1857 dall’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo (1830-1916), per accogliere i treni della Südlisches Staatsbahn, in arrivo da Vienna e da Berlino. La sua saletta Reale mostra ancora nei suoi alti specchi l’etichetta inamidata della corte degli Asburgo. Passeggiando nei pressi della stazione, si offre al visitatore un vero e proprio corso di architettura all’aperto. Inizialmente, immobili in stile Liberty - declinazione italiana dell’Art Nouveau -, quindi, impressionanti palazzi degli anni 1800, che mostrano sulle loro facciate la gloria dell’Impero, come lo strana decorazione del portale della Casa Allodi o delle Bisse, in via San Lazzaro, che commemora la Battaglia di Lipsia (1813) persa dalla Francia: una vipera (Napoleone Bonaparte) cerca di ingoiare il mondo, ma viene scacciato da tre aquile (Austria, Prussia e Russia). Infine, la Piazza dell’Unità d’Italia, antica Piazza Grande, “punto nel quale si concentra il movimento fra la città ed il porto”, così come si può leggere dalla pubblicazione Baedeker Austria Ungheria, del 1912. La piazza, vetrina della città, ornata su tre lati da imponenti edifici del XVIII e XIX Secolo, si apre sul mare ad alla luminosità dell’Adriatico. Poco lontano, al n. 16 della Via Cavana, si incontra l’attuale Sede del Vescovato, un bell’edificio che ci ricorda un personaggio particolare della storia, ricordato anche come il “Braccio del Crimine” (1). In effetti, nell’antico Palazzo Vicco, acquistato da Joseph Fouché (1759-1820), che vagava da rifugio in rifugio, nel 1819, quando era ormai diventato un ingombrante proscritto. L’ex Ministro della Polizia napoleonica, si aggrega a questa piccola comunità francese cacciata dai Borboni: Elisa Baciocchi (1777-1820), sorella di Napoleone, Carolina Murat (1782-1839), vedova di Gioacchino, re di Napoli e Gerolamo Bonaparte (1784-1860), che abitava nella villa del barone Cassis (poi Necker, oggi sede del Comandante militare di Trieste). Trieste li accoglie tutti, in una ambiente di affari e di apertura verso il mondo dove tutto, per i “rifugiati della storia” (2), resta possibile. Il caffè del Kaiser La quarta città dell’Impero (dopo Vienna, Budapest e Praga) va incontro, a partire dagli inizi del XVIII Secolo, ad uno sviluppo senza precedenti. Nel 1719, il modesto porto di pesca viene esentato dai diritti di dogana. Unica finestra marittima dell’Impero, la città consente il collegamento con i regni cugini di Napoli e della Sicilia, come anche le relazioni commerciali marittime con l’Impero ottomano Tuttavia, la città rimane all’ombra della Repubblica di Venezia, che crollerà nel 1797, appena scossa dalla vista dell’esercito del Bonaparte. Trieste ha ormai a quel punto la via libera: commerci e contrabbando assicurano la fortuna della borghesia locale, esperta, sia negli affari poco chiari, come anche nelle belle arti. Il barone ed armatore Pasquale Revoltella (1795-1869) si costituisce, dietro le spesse mura del suo palazzo di Piazza Venezia (già Piazza Giuseppina), una collezione di tele ed organizza una camera oscura, nascosta in un quadro, al fine di osservare gli arrivi e le partenze delle sue navi. Circa un secolo di ristrutturazioni trasformano la città e le offrono un destino: viene scavato il così mal nominato Canal Grande, al fine di fornire un rifugio sicuro alle navi. Attorno al Canal Grande, tracciato con la cordicella, si eleva il Borgo Teresiano, che costituisce una città ideale e pomposa. Fino al 1918, si succedono nel tessuto della città modernizzazioni, ingrandimenti ed abbellimenti. Si realizzano gettate a mare, si apre una strada fra Vienna ed il suo porto ed una nuova stazione: San Marzo. Nel 1912, Trieste con circa tredicimila navi che hanno fatto scalo nei suoi moli, raggiunge l’ottava posizione fra i porti europei. La città diventa il più grande porto dell’Adriatico, dove caffè turco e carbone inglese alimentano la corte di Vienna. L’Austria dispone di un porto ed avrà anche un suo ammiraglio, Massimiliano d’Asburgo (1832-1867), fratello di Francesco Giuseppe, che si prenderà cura di creare una marina da guerra, oggi completamente dimenticata, che annovererà fra i suoi ranghi anche l’ammiraglio Miklos Horthy von Nagybanya (1868-1957; poi Presidente ungherese). Se la flotta ha la sua base principale a Pola, lo Stato Maggiore risiede a Trieste, In tale contesto, Massimiliano farà costruire sul bordo del mare la sua residenza: il bel castello di Miramare. Questa grandiosa imitazione neogotica (d’altronde Massimiliano è anche il nipote di Luigi II di Wittelsbach, 1845-1886, il costruttore dei fantasiosi castelli della Baviera) nasconde un dramma in quattro atti, degno delle migliori opere teatrali: Atto 1° Napoleone III Bonaparte - desideroso di strappare il Messico all’influenza degli USA, ne propone a Massimiliano il trono; Atto 2° Nel suo castello di Miramare, l’Asburgo accetta la proposta e si imbarca il 14 aprile 1864 sulla fregata Novara, ignorando che i repubblicani messicani affilano già le loro armi. Atto 3° Massimiliano, abbandonato da tutti, viene fucilato il 19 giugno 1867 a Queretaro (l’esecuzione fu immortalata da Edouard Manet (1832-1883) in una tela); Epilogo La stessa fregata Novara riporterà il suo corpo fino a Trieste, mentre sua moglie entrerà in una crisi di follia. Sulle pareti della sala del trono imperiale si stende ancora un mappamondo che rappresenta i dominî di un Impero, quello degli Asburgo, che si voleva universale. Negli anni 1930, il castello ospiterà nuovi sogni imperiali, quelli del duca Amedeo di Savoia Aosta (1898-1942). I saloni vengono decorati di carte dell’Africa contrassegnate da un grande SPQR. Il Duca, Viceré dell’Africa Orientale Italiana, come Massimiliano, per un effimero trono vicereale, nel 1942 troverà la morte in Kenia, prigioniero degli Inglesi. Trieste italiana Ma al termine della Prima Guerra Mondiale, la città andrà incontro ad una prima lacerazione. Storicamente ed abitata in maggioranza da italiani, la città vedrà i suoi figli arruolati nell’Imperial Regio Esercito austriaco, specialmente quelli di origine tedesca e slovena, mentre fa gli Italiani molte saranno le diserzioni e gli irredenti. Il Trattato di Versailles, basandosi sugli accordi preguerra con gli Alleati e sulla evidente maggioranza italiana degli abitanti (più del 50%), conferma gli accordi e prende atto del fatto che gli Italiani hanno già conquistato la città nel novembre 1918, proprio poco prima della fine ufficiale delle ostilità. Trieste per un certo periodo, anche per il rinfocolarsi delle divisioni etniche, allenta i suoi secolari legami con il suo retroterra, anche per il fatto che la Jugoslavia devia i suoi traffici in un proprio porto. Nel primo dopoguerra, le rivalità etniche (specialmente sobillate dalla Jugoslavia ed, in particolare, dalla Slovenia) e la spinta fascista spingono per una italianizzazione della città, con un conseguente appannamento del suo passato austro-ungarico. In questo periodo, sorgono nel panorama urbanistico triestino edifici razionalisti nella via del Teatro Romano, oltre all’estetica del monumento dedicato ai morti della stazione marittima e del Faro della Vittoria. Nel 1945, la sanguinosa liberazione della regione effettuata da parte dei partigiani iugoslavi (esempio storico delle foibe, retaggio storico e culturale del popolo slavo del sud, che si è recentemente nuovamente riproposto e concretizzato sotto le sembianze della “pulizia etnica” dei Serbi) è stata interpretata da molti come una rivincita. Per Josip Broz Tito (1892-1980), nei fatti, si trattava di “mettere fine alla occupazione italiana” (come se, sulla costa adriatica da Roma a Venezia, gli Italiani non ci fossero mai stati), mentre per i Sovietici si apriva invece l’opportunità di disporre di un porto importante sul Mediterraneo. Primizie della Guerra Fredda che ispireranno a Sir Winston Churchill (1864-1965) la famosa considerazione espressa nel marzo del 1946: “Da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico è calata sul continente una cortina di ferro”. Tuttavia la città, nel 1954 (55 anni or sono), dopo essere passata sotto l’amministrazione anglo-americana, tornerà all’Italia. Quali sono le previsioni per il futuro di Trieste ? Oggi che la globalizzazione batte alle porte, ridistribuendo le carte nel mondo, Trieste potrebbe tornare ad essere, come nel passato, la porta dell’Oriente e di una nuova “via della seta”. Essa rimarrà, comunque, per i suoi visitatori, la città dall’ombrosa grazia, tanto per usare i versi di Umberto Saba (1883-1957), prima che un nuovo mondo possa contribuire, forse, a scacciare i fantasmi del passato. Ma, in fin dei conti, la storia dimostra che forse il solo vero viaggio riuscito è sempre quello di colui che vagabonda nel passato!... NOTA (1) Citazione da François-René de Chateaubriand: “Tutto ad un tratto, la porta si apre: entra silenziosamente il vizio, appoggiato al braccio del crimine, il signor di Talleyrand che procede sostenuto dal signor Fouché; la visione infernale passa lentamente davanti a me, penetra nell'ufficio del re e dispare”; (2) Va inoltre ricordato, per completezza di informazione, che nella vicina Gorizia trascorrerà il suo esilio anche il re di Francia Carlo X di Borbone, fratello di Luigi XVIII. BIBLIOGRAFIA Gautier Theophile, “L’Italia”, 1850; Halupca A. - Veronese L., “Trieste nascosta”, Edizioni LINT, Trieste, 2009; Mann Thomas, “La morte a Venezia”, 1912 (Der Tod in Venedig); Morand Paul (1888-1976), “La Via delle Indie”, 1936; Sellerio, Palermo, 2000 Morand Paul (1888-1976), “Il viaggio”, Archinto, Milano, 1994 Morand Paul (1888-1976),“Venezie, 1971, Neri Pozza, 1995
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