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Teorema della quantificazione indeterminata

"...e quantaltro"

Per concludere e "dire qualcosa di sinistra"


Aug 17 2003 12:00AM - L'Osservatore Sarciastico


(Rieti) La situazione è diventata drammatica e non fa sperare nulla di buono per il futuro; è quindi necessario tentare una sortita, magari con perdite, per cercare di contrastare il malvezzo. Parlo del neologismo “quantaltro”, rigorosamente senza apostrofo, che è diventato la conclusione d’obbligo di tutte le elencazioni, le enumerazioni, le citazioni e le quantificazioni nei comizi, nelle conferenze, nelle lezioni e nelle prediche. Gli oratori politici, dai locali agli europei, ne hanno ormai inflazionato l’uso; ma anche altri oratori, nell’istruzione, fra i militari, in parrocchia, lo hanno adottato con sollievo; anche perché aiuta a concludere i discorsi che non significano nulla e che non vanno da nessuna parte. Il termine, insomma, risolve; perché dunque privarsene? E poi attribuisce seduta stante, a colui che lo inserisce nel discorso al momento opportuno, un aspetto professorale, anzi accademico, e lascia trapelare l’esistenza di una cultura vasta e profonda (che invece non c’è). Quello che invece c’è, e si vede, è la disconoscenza totale dell’argomento, l’abitudine di arrampicarsi sugli specchi ed una faccia tosta da primato. Concludere una frase con un “quantaltro!”, attribuisce al personaggio che lo pronuncia una dimensione paranoica se non addirittura schizofrenica perché non esprime alcun significato. E poi, invece di creare occasioni di comprensione tra coloro che ascoltano, ne attiva costantemente un inconscio disagio perché ognuno deve concludersi la frase da solo, aggiungendo ai cavoli e alle patate “quantaltro” egli voglia aggiungere, “ad libitum”. A questo senso di libertà offerto a piene mani dal “chiarissimo” non corrisponde però alcuna elargizione formale di substrati, di costrutti e di sostanza oggettiva, i quali prodotti presuppongono l’esistenza di capacità espositiva, di conoscenza dell’argomento e di psicologia dell’intrattenimento. Per cui uno al termine dell’ ”interessante” conferenza si alza barcollando e corre difilato dallo psicanalista per riattivare i percorsi della logica, gravemente danneggiati dal catastrofico evento. Ho osservato che ad usare frequentemente il termine “quantaltro” sono i Sessantottini della “sinistra intellettuale”, quelli del “6 politico” per intenderci; seguiti dai giovani Ottantottini, quelli delle lauree brevi, per intenderci ancora meglio. Sull’altro versante invece il “quantaltro” non ha preso piede; se ne osserva qualche rara presenza, ma in genere è maturata la consapevolezza epidermica dell’insipienza che il termine porta con sé . A “destra” si fa strada il neologismo “tantaltro” che è ancora in fase puerperale, al quale probabilmente vengono attribuiti significati positivi, quali ottimismo, altruismo, generosità, decisione e conoscenza; al contrario del “quantaltro” a cui, evidentemente, vengono attribuite qualità negative quali pessimismo, imprecisione, incertezza, insipienza, e ignoranza.

E poi dicono che uno la butta in politica!

 

 

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